La pittrice Giorgia-Eloisa Andreatta rappresenta nel panorama della pittura contemporanea una non indifferente sorpresa, dato che, ormai da lungo tempo, gli artisti si occupano del loro mondo soggettivo e la loro forza creatrice si consuma nel l'inventare un linguaggio adeguato per la loro forma soggettiva. In questo modo si sono delineate grosso modo due tendenze, poi ramificate in molti diversi accenti. La prima tendenza è quella che lavora prevalentemente sul soggetto, e l'altra è quella che lavora prevalentemente sulla ricerca del linguaggio. Il denominativo comune rimane comunque l'arte come espressione del soggetto, il linguaggio come forza irruente e l'originalità dell'artista. In tale contesto Giorgia si distingue per una maturità che supera molte presunte alternative del nostro tempo. La sua maturità consiste nel superare il dato di fatto dell'essere umano come individuo e la convinzione evidentemente esperienzale che l'essere umano è una persona relazionale tessuta su un organismo universale. Chiudere l'essere umano nel soggetto, nell'individuo significa legarlo nella sua natura ferita, mortale, in una zona isolata, chiusa e senza una realistica via d'uscita. Su questa via individualistica, all'artista rimangono solo gli slanci d'illusione e le cadute di disperazione. Mentre Giorgia, probabilmente soprattutto per la sua esperienza personale di moglie e madre che vive la propria identità nella fede, fa crescere la sua speranza su un orizzonte che si apre su uno spazio e tempo dell'Ottavo giorno, nella concordanza dei tempi e degli spazi. Lì l'antica memoria diventa la sua personale esperienza. Là, ad un tratto, uomini e donne di spazi e tempi lontani le diventano amici. Le esperienze e le conoscenze che questi amici hanno maturato diventano per Giorgia il dono ricevuto, la partecipazione alla sapienza della vita. Nella sua pittura la figura umana si purifica. La corteccia del mondo in quanto simbolo, come direbbe Florenskij, si snellisce di nuovo diventando quasi trasparente, diventando praticamente solo sguardo. Così le figure umane acquistano di nuovo la loro identità reale, cioè si presentano come simboli che rivelano dal di dentro lo sguardo dell'Altro. Per questo Giorgia, al di là di ciò che è oggi il cliché giornalistico della popolarità, è una vera artista, quasi rara, perché il dono ricevuto dalla memoria, dalla comunione viene vissuto da lei in una forma nuova. Queste immagini che potrebbero dare sensazione dell'antico, vengono vivificate da una visione morbida, tenera, però maternamente tenace. E soprattuto vengono rivestite da un colorito luminoso, di gloria e di luce trasparente, benché intensa come il colore puro. Il vestito da un lato allude al vestito reale, ma rivela quel vestito che si riceve dalle acque del battesimo, il vestito di Cristo. Anche le figure povere, provate, infreddolite delle necessità e sprofondate nel bisogno sono avvolte nella forza del colore e nella luce della quale questi stessi colori sono testimoni. Perciò è così evidente che la sua opera doveva trovare uno spazio nell'ambito della carità, della comunità attenta, della comunità che include l'altro, perché ha sperimentato Dio che per primo ci ha inclusi nel suo amore. E questo sin dai tempi antichi si chiamava misericordia.